Attentato! No, non si è trattato di attentato
di Luciana Cusimano
La vicenda di Chiara Natoli, venuta alla ribalta della cronaca suo malgrado, l’abbiamo appresa un po’ tutti, credo. Spiace che di Lei non si sia parlato più di tanto il 21 marzo, in occasione della marcia di Libera in ricordo delle vittime innocenti di tutte le mafie, ma solo qualche giorno dopo, a seguito “dell’incidente” (ora, lo possiamo a ragione definire così) che ha coinvolto la sua automobile. In tale contesto si è parlato del suo impegno costante e del suo coinvolgimento nel panorama antimafia. Magari, tutto ciò era noto agli “addetti ai lavori” e chiedo venia se io per prima annoveravo il suo nome tra quelli già sentiti ma che non riuscivo a inquadrare. Con l’incalzare delle ore e del tam tam sull’atto dinamitardo subito, abbiamo iniziato a prendere confidenza col suo volto e la sua vita. È diventata una di noi, ne abbiamo sposato la causa, abbiamo, magari, desiderato di emularne serietà e pacatezza. Io ho avuto modo di notare e apprezzarne il garbo, la circospezione, la ponderatezza, la cautela nel descrivere la vicenda affidandosi a chi di dovere per l’accertamento della vera natura del gesto che l’ha vista vittima inconsapevole, quando tutti avevano già fatto due più due e sentenziato sulla sua matrice intimidatoria. Sarà che siamo in Sicilia e siamo “scottati”, sarà che abbiamo nel DNA quel certo desiderio di crogiolarci nel torbido, di intravedere il marcio e additarlo come tale soprattutto se non succede direttamente a noi o non ci coinvolge in prima persona, sarà come sarà ma nei momenti di maggiore disagio non troviamo quasi mai nessuno pronto a spezzare una lancia a noi favorevole, disposto anche a minizzare l’accaduto anche solo per sorreggerci e sollevarci dal peso delle inevitabili conseguenze. È più facile e comodo essere catastrofisti, in ossequio al vecchio adagio “penza o mali cà beni veni” e poi tutti zitti e quasi delusi e nostalgici allorquando scopriamo di esserci sbagliati, che in fondo tutto è bene quel che finisce bene.
Un tale in ciabatte che tenta di dare fuoco alla munnizza ma finisce per incendiare una macchina, del resto, fa meno audience di un attentato incendiario a danno di una militante piuttosto che di un imprenditore. Sono le impietose leggi del clic a ogni costo che lo pretendono e lo impongono. Mi verrebbe da dire: “È la stampa (certa e quella più becera), bellezza!”
Chi si prefigge l’obiettivo e la missione di informare deve farlo sempre con scrupolo e prudenza, nel pieno rispetto dei fatti, delle persone coinvolte e delle loro vite nonché della sensibilità di chi ha diritto di sapere. In-formare, per formare menti lucide e spirito critico, saper guidare per non sbagliare approccio, senza giudicare ed etichettare, senza “giocare”. E mi sovviene, con rammarico, un ricordo della mia adolescenza che avevo rimosso.
Avevo circa 16 anni, abitavo in pieno centro storico a Castelbuono, ridente e tranquilla cittadina nota per i panettoni, mai citata per “mafia” o “pizzo”, dinamiche, per fortuna, poco conosciute nell’entroterra madonita. Ebbene, io e i miei ci risvegliammo nel cuore della notte a causa dell’odore acre di fumo e gomma bruciata. Storditi, non capimmo subito quanto era accaduto, realizzammo solo alle prime luci dell’alba che dei giovincelli, “poltronisti” habitué dello scalino del nostro portone (molto usato come comodo divanetto per bevute, chiacchierate, sghignazzate, tenere effusioni, in un’epoca che, purtroppo o per fortuna, non conosceva ancora i social) avevano tentato di “svuotare” il serbatoio di una Vespa parcheggiata lungo il nostro muro. I buontemponi non avevano fatto bene i conti: farsi luce con l’accendino non era esattamente la più geniale tra le intuizioni. E così è bastato un attimo per mandare in fumo Vespa e portone.
I responsabili della bravata non sono mai stati assicurati alla giustizia, spero che almeno si siano presi un bel corroborante spavento, funzionale alla loro crescita. Ma l’inventiva del “giornalista” che usò il dispaccio dei Carabinieri per scrivere sulla cronaca locale (e menomale che non esistevano i giornali online per dare massima e immediata diffusione alla notizia) di un “noto imprenditore castelbuonese vittima di un’ intimidazione. Non si esclude nessuna pista”con le iniziali di mio padre, non mi andò giù per molto tempo. Pensavo di averla digerita ma, se oggi ne sto parlando, evidentemente non è così. Ci sono bocconi amari che si ripropongono come le peperonate a rilascio prolungato. E poco importa se hanno il retrogusto dell’antimafia. Sono, pur sempre, “munnizza”.